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copertina del romanzo la manipolazione dell'anima
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Introduzione

La confessione del dottor Bhauer ha confermato i cattivi presentimenti che abitavano la mia mente, presagi che si manifestavano tutte le volte che pensavo a mio padre. Ha innescato sensi di colpa che scoppiano come grida di vendetta. La sua morte, invece, se pur non mi restituirà il tempo con cui avrei potuto guardare ancora negli occhi mio padre, ha reso giustizia a chi ha subito il suo piano diabolico e, nel contempo, ha dato il via al processo evolutivo della nostra famiglia.

Rifugiati nella dimora che ci ha visto unire, io, Alex e Ivonne mettiamo a nudo idee e necessità che si articolano attraverso il processo della chiusura dei cerchi. L’unico modo per diventare immuni al veleno di un passato che proverà a contaminare i nostri giorni futuri è raggiungere la pace interiore, quello stato d’animo in cui i ricordi non sono un pretesto per guardarsi alle spalle ma una motivazione per divorare il presente.

Con gli occhi puntati sul planisfero, decretiamo una scelta di vita che salda l’esistenza della nostra famiglia a un obiettivo: un viaggio senza ritorno in Africa. Un percorso di quattromila chilometri alla scoperta del continente nero, un salto temporale che ci permetterà di ricominciare soltanto dopo la chiusura dell’ultimo cerchio, quello che racchiude una verità celata nell’animo di una suora missionaria.

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Capitolo 12

I CERCHI

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La mia voce lo lascia indifferente, il suo viso non ha alcuna reazione. «Sai a cosa pensavo? A quando ero bambino e mi raccontavi delle storie per farmi addormentare. Racconti fantastici che non avevano nulla a che vedere con le classiche favole che da sempre accompagnano il sonno di ogni bambino. Narravi storie fuori dal comune, inventate sul momento, che mi facevano l’effetto contrario tenendomi sveglio e attento. Le tue parole stimolavano la mia immaginazione a tal punto che riaprivo gli occhi per non essere totalmente rapito dallo scenario che prendeva forma nella mia mente. Spegnevi la luce e andavi via mentre facevo finta di dormire. In realtà rimanevo a pensare; le immagini sfocavano per lasciare posto alle riflessioni. Mi chiedevo se c’era un modo per diventare così bravi a narrare le storie, e se la fantasia, oltre a essere una dote innata, poteva essere acquisita in qualche modo. Volevo essere come te». Ivonne asciuga le lacrime e si mantiene distante. «E ricordi quella volta in cui mi hai sorpreso a leggere i tuoi appunti? Ho provato mille volte a chiederti il permesso ma non riuscivo a farlo: sapevo di aprire la porta di una stanza in cui si nascondevano i tuoi pensieri più intimi e avrei voluto che fossi stato tu a coinvolgermi nella lettura. Ma un giorno la sete di curiosità ebbe la meglio».

   


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Con una risata coinvolgo Ivonne e la invito ad avvicinarsi a noi. «Di soppiatto entrasti nella stanza da letto e mi sorprendesti a leggere i tuoi appunti. Misi i fogli sulla sedia e mi ci sedetti sopra. “Non fermarti e leggi ad alta voce” dicesti. Come se nulla fosse, li tirai fuori tutti sgualciti, li risistemai alla buona e ripresi a leggere. Sai Papà, ricordo bene quel concetto che accese l’amore che nutro per le parole. L’ho imparato a memoria e voglio ricordartelo adesso. La magia delle parole è nel loro limite. A volte non sono capaci di rendere giustizia alle emozioni, non posseggono abilità tali per descriverle in ogni sfaccettatura. Ma te ne fanno sentire l’odore, percepire il sapore. Grazie a questo limite, ne custodiscono il senso più profondo, lasciandone l’essenza nell’animo di chi le ha provate e stimolando l’immaginazione di chi le ha soltanto lette. Capii che da un limite può scaturire una magia, che da una mancanza nasce la voglia di fare, di mettersi in gioco. Soprattutto, capii che le parole sono uno specchio per il lettore, e mai come in tutti questi anni mi sono specchiato in ogni concetto che hai scritto, papà».

A un soffio dal viso, lo guardo dritto negli occhi e gli prendo le mani: pezzi di ghiaccio in un corpo che non si scompone.

   


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«Lei è Ivonne. Sono sicuro che se la conoscessi mi diresti che sono un uomo fortunato e che non avrei potuto incontrare una persona migliore. La sua vita si è incrociata con la mia dal primo giorno in cui andai via di casa e, insieme, affronteremo un viaggio per chiudere l’ultimo cerchio».

Come un’ombra che avanza oscurando ogni cosa, le pupille dilatate hanno spento le iridi celesti lasciando posto allo smarrimento.

«Papà, ho fatto quello che dovevo. Ho scritto ogni cosa e non sai quanto vorrei che fossi tu il mio primo lettore. Manca soltanto una conclusione degna. La cercherò in te e nel viaggio che affronterò per raggiungere Agata. A presto!»

Senza dire una parola, l’assistente sblocca il freno e tira indietro la carrozzina. In un flash, lo sguardo di mio padre incrocia il mio. Un movimento impercettibile delle pupille che contiene qualcosa di straordinario: la vita.

Lo seguo lungo il portico. Mi faccio strada fra i carrelli con il pranzo che gli inservienti stanno per servire. Continuo a fissarlo fino a che scompare dietro il mio riflesso sulla porta a vetri.

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