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Introduzione
Arrendersi agli eventi. Ascoltare la coscienza che vuole farti perdere il controllo. Abbandonare ogni fardello di responsabilità per barattare l’equilibrio con degli atti sconsiderati. Estremi.
Seguo la scia delle contradizioni e mi abbandono alla corrente. Sono un fantoccio che impatta sulle rocce senza alcun effetto, illeso, ma consapevole di possedere un potere effimero.
Il medico è in uno stato di semi coscienza. Il volto arreso, scarno e pallido.
L’infermiere privato, un uomo trovato nella lista dei clienti di Alex costatoci cinque grammi di cocaina, gli ha inserito un catetere nel braccio per somministrargli delle flebo di nutrizione parenterale.
A turni di quattro ore, con rumori assordanti, percosse e spugne d’acqua gelida sulla testa, io e Alex teniamo sveglio il dottor Bhauer da quattro giorni e quattro notti.
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Capitolo 6
LA MORTE DEL BUON SENSO

Roberto Puccio
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Ivonne avvolge del ghiaccio in una pezza, si avvicina a Bhauer e gli strappa il bavaglio dalla bocca. L’uomo sputa sangue e ansima riprendendo fiato.
«Esca la lingua». Prostrato, Bhauer esegue senza battere ciglio. Ivonne gli tiene la testa alta mentre preme con il ghiaccio sul taglio. «Si è preso la lingua a morsi» specifica sorridendo. «Era il minimo che potesse fare. Forse era meglio lasciarlo soffocare con il suo stesso sangue e con la puzza di merda sotto il naso».
«Cazzo! Mi sono addormentato mentre scrivevo».
«E Alex? Che fine ha fatto?»
«È uscito per una consegna e non è più rientrato».
«Dovresti usare anche tu delle cuffie con dei rumori assordanti per tenerti sveglio».
«Non mi era mai capitato di perderlo d’occhio, neanche per un attimo. Hai fatto bene a intervenire».
«Dici che ho fatto bene? Di certo non mi sono mossa per compassione. L’ho solo tenuto in vita. È questo che vuoi!?» conclude uscendo dalla stanza.
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QUINTO GIORNO
La testa di Bhauer vacilla. L’uomo non reagisce più agli stimoli. È quieto. Tacito. Sfinito.
«Devo dirti una cosa importante, vieni in cucina!» Alex è turbato. Spinge il mozzicone nel posacenere e fissa il pavimento.
«Devo preoccuparmi?»
«È arrivata una notifica su Messanger per Bhauer. Una persona che lo ha cercato più volte a un numero di telefono che noi non conosciamo».
«Chi è?»
«Sua figlia!»
«Figlia!? Porca puttana, ha una figlia?»
«A quanto pare, si».
«A quanto pare? Che cazzo! Eravamo sicuri che non avesse nessuno. Da dove esce fuori?»
«Non c’era alcuna traccia di questa donna. Probabilmente non hanno nessun tipo di rapporto da parecchio tempo. Nella chat ha scritto che ha provato a chiamarlo diverse volte e che gli ha inviato un paio di messaggi al cellulare senza avere riscontro. Cosa faccio? Le rispondo?»
«No, se avessimo risposto subito avremmo potuto inventare qualsiasi cosa, adesso potrebbe insospettirsi e fare delle domande per accertarsi che non gli sia capitato nulla. Dov’è il telefono di Bhauer?»
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«In camera da letto, nel cassetto del comodino».
«Tienilo d’occhio» dico indicandogli il medico con la testa pendula in avanti. «Oggi è il giorno della verità, non deve addormentarsi».
Il cellulare del dottor Bhauer è un dual SIM. Mi sento un idiota. Come può esserci sfuggita una tale banalità? Due chiamate perse e sei messaggi su whatsapp.

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«Cazzo!» Calci alla porta, pugni sul tavolo. Sono stato colto di sorpresa e non riesco a perdonarmelo. Rileggo i messaggi e mi rendo conto che non si può tornare indietro. Mi è precipitata addosso un’altra vita. Una donna. Una figlia. Un capitolo inaspettato che si svilupperà intorno a un nuovo stato d’animo. Un ostacolo? No. È solo un’alternativa. Un’inclinazione di luce diversa.

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«Che succede?» chiede Ivonne alle mie spalle mentre guardo fuori dalla finestra. Foglie secche ruotano vorticosamente e si accatastano sull’asfalto. Lampi che accendono il cielo mentre il vento spinge la pioggia sui vetri.
«Da quanto tempo sei lì?»
«Abbastanza per capire che qualcosa non va secondo i piani».
«Piani? Chi ne ha mai avuto uno!»
«Allora cosa?»
«Ha una figlia!»
«Credi che questo possa cambiare le cose?»
«Si, le ha già cambiate! È più rischioso per tutti. Mi sento responsabile per avervi coinvolto».
«Quando parli così mi fai sentire poco importante. È come se potresti scegliere di fare a meno di noi. Credevo che fossimo una famiglia. Non puoi scegliere se coinvolgerci. Lo siamo, sempre e comunque».
«È proprio questo il punto, avrei dovuto proteggervi. Così rischiamo di perdere tutto».
«Cosa credevi? Che sarebbe durato per sempre? Che saremmo invecchiati insieme? Tutto è destinato a finire».
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«No, non mi sono mai illuso che durasse per sempre, ma non voglio essere la causa della nostra dipartita».
«Quindi se la causa della nostra fine fosse riconducibile a me o Alex dormiresti tranquillo?»
«Non ho detto questo».
«Invece si, avresti meno a che fare con i sensi di colpa».
«Non ho sensi di colpa, lo sai bene. Le cose accadono, è la vita a decidere e non puoi fare nulla per evitarlo, ma puoi essere pronto per affrontarle, e io non lo sono».
«La questione è un’altra; ha una figlia e ti senti più coinvolto emotivamente. È un problema? No. È quello che cercavi. Luoghi sconosciuti da esplorare. Avvenimenti sorprendenti. Unici. Emozioni che non hanno un nome. Quindi? Cosa aspetti? Smettila di autocommiserarti e vivile, descrivile. Fa vuotare il sacco a quello stronzo ammaestrato che teniamo legato a una sedia e tutto il resto verrà da se. Era quello che volevi, ed è ciò che farai».
Ivonne prende una pasticca e si avvicina. «Facciamo un viaggio insieme». Mi bacia. Con la lingua raccolgo sensazioni che calpestano ogni intenzione di replica. L’acido si scioglie e decapita ogni pensiero.
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Sono eccitato. Il silenzio fa da sfondo ai sospiri. I pensieri rimbalzano come palle di gomma sulle pareti dipingendo scie sgargianti sulla realtà monocromatica che la donna che amo ha disegnato a parole. Avvinghiati come serpi, scivoliamo sulla superficie del tavolo, ci togliamo di dosso i vestiti e cambiamo pelle avvolti dal desiderio. Ivonne ferma la mia mano, vuole che ascolti. Al piano di sotto, Alex sta bombardando la psiche del medico con musica rock assordante, una valanga di note che, come lame di metallo, trafiggono il buon senso. Giù per le scale. Manteniamo in attrito i nostri corpi baciandoci selvaggiamente e irrompiamo nella stanza.
Alex urla esaltato dal fuori programma, spinge al massimo il volume dell’amplificatore, balla e scuote la testa di Bhauer che ondeggia come quella di uno zombie con il collo spezzato. Il dottore ha un buco nel cranio, sanguina, un rubinetto aperto da cui pacare la sete di vendetta. Ivonne mi trascina via da quell’immagine, annusa il mio corpo, ci aggrovigliamo sul pavimento. Le stringo i capelli, le lecco il collo, l’orecchio, le labbra, le apro le gambe… è mia. Le ginocchia sfregano sul cemento, il pavimento si crepa, perdiamo contatto con il suolo e precipitiamo in una voragine di piacere.
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Ivonne mi spinge sulla parete, dalle crepe escono rampicanti che si aggrovigliano ai polsi, alle caviglie e mi ancorano la schiena al muro. Carponi, si avvicina mantenendo un passo felino. Alza lo sguardo e mi masturba mentre Alex la afferra per i fianchi e la penetra da dietro. In estasi, prende il pene in bocca e trattiene lo sperma che eiaculo durante l’orgasmo. Con le labbra serrate, si avvicina al dottor Bhauer. Due dita sotto il mento, gli solleva il capo. Lo fissa. Gli sputa la sborra in faccia.
Sdraiati sul pavimento, io, Alex e Ivonne guardiamo il soffitto capovolgersi e ribaltare i nostri sentimenti d’odio in amore, la paura in eccitazione, i dubbi in convinzioni, la solitudine in unione. L’irrazionale in qualcosa di estremamente vivo. Sanguigno.
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